Vincenzo Binetti
Most of the novels written by migrant writers today in Italy have, in my opinion, a tendency to purposely decentralize and almost blur the visualization of a given territoriality within which their characters evolve and operate. Even if these novels are, in fact, often set in metropolitan contexts easily recognizable and identifiable by the reader, they are indeed missing an almost reassuring reference to those urban and architectural landmarks, which should instead have emblematically validated and clearly demarcated the landscapes and the mapping of the Italian cultural-historical tradition and its national identity. I wonder therefore which kind of political and literary implications may spring from this deliberate invisibility of the official landscapes and from an exclusion of the other from the urban spaces within which these foreign citizens, nomadic protagonists of migrant narratives, erratically move. Which destabilizing literary and stylistic elements define then these attempts to (re)read the impermeable uniformity of the national territory through a problematic and conflictual shifting of the interpretative point of view of those same public spaces? And, even more, which forms of political resistance define this intentionality, this desire to displace a certain predictability of the reader’s orizzonte d’attesa, a reader who would have preferred instead to recognize and validate, precisely within those spaces, his/her own sense of identitarian belonging and citizenship?
L’elemento indubbiamente provocatorio che scaturisce dall’analisi delle storie narrate da scrittori migranti oggi in Italia è, a mio avviso, l’intenzione autoriale di voler in qualche modo decentralizzare e quasi sfocare la visualizzazione della territorialità all’interno della quale operano e si muovono i personaggi e le loro storie. Anche se spesso ambientati in contesti urbani e metropolitani all’apparenza facilmente riconoscibili ed identificabili dal lettore, manca infatti in questi romanzi un riferimento direi quasi rassicurante a quei landmarks architettonici e urbanistici che dovrebbero invece contraddistinguere e avvalorare emblematicamente i paesaggi e la mappatura della tradizione storico-culturale dell’identità nazionale italiana. Mi chiedo allora che tipo di implicazioni politico-letterarie possano scaturire da questa deliberata invisibilità dei landscapes ufficiali e da una esclusione dell’altro dai paesaggi urbani all’interno dei quali si muovono incerti ed esitanti questi cittadini stranieri protagonisti della scrittura migrante. Quali potenziali fattori destabilizzanti della canonicità letteraria e quali forme di resistenza politica emergono allora da questi tentativi di (ri)leggere l’uniformità impermeabile del territorio nazionale proprio spostando il punto di vista interpretativo di quegli spazi pubblici e quindi spiazzando l’orizzonte d’attesa di chi legge e che in quegli spazi vorrebbe riconoscere e validare in un qualche modo il proprio senso di appartenenza identitaria?